EREMO MADONNA DEGLI ULIVI

La costruzione, rettangolare e a navata unica, non si riduce a una chiesa, ma ad essa sono annessi spazi ad uso abitativo e a magazzino, prefidurandosi come unità autonoma e ad uso polifunzionale. Benché durante i lavori di restauro siano venuti alla luce affreschi risalenti al XIV-XV secolo nel catino absidale, la sua storia affonda le sue radici in tempi più lontani. E’ noto che che quando i seguaci di S.Basilio il Grande fuggirono dalla loro terra di origine, a partire dal VI secolo d.C., si rifugiassero in una area che comprendeva una parte del Cilento meridionale, Maratea, l’entroterra lucano e la parte nord della costa calabra. Nella documentazione del Catasto Onciario, un inventario dei beni immobili posseduti dai sudditi napoletani voluto da Carlo III, vi è un esplicito riferimento ad un “romito”, per cui è molto probabile che la chiesa avesse anche la funzione di romitorio basiliano.

E, in effetti, la consistenza del fabbricato, si presta ad un uso da parte di una piccola comunità. Inoltre, data l’ubicazione strategica del romitorio, esso si configurava probabilmente come un luogo di sosta per i religiosi che percorrevano la strada che passava proprio dove è situata la Madonna degli Ulivi. Questo percorso era il tracciato più importante dell’epoca perché collegava Castrocucco, dove era situato il porto di Blanda, al passo della Colla rappresentando così una delle direttrici di penetrazione dalla costa verso l’entroterra. Ma per il romitorio non transitavano solo i viandanti provenienti dalla costa di Castrocucco: un altro importante sentiero partiva dalla costa a ridosso dell’isola di Santo Janni.

Questa ulteriore strada di comunicazione confluiva con il percorso precedentemente descritto proprio ad un centinaio di metri prima della Madonna degli Ulivi. Concludere che per questo posto transitava un elevato numero di persone sembra, quindi, del tutto conseguente. Ad ogni modo se l’impiego della struttura come “stazione”sia solo ipotetica, quella di romitorio, è certa, almeno nel ‘700, come riportato nel Catasto Onciario. Per chiarire la questione del duplice utilizzo, è interessante affrontare anche la questione del doppio toponimo. Un primo riscontro si ha in un documento del 1673 in cui appare il nome della Madonna degli Ulivi e vi è un altro esplicito riferimento alla chiesa in altri documenti del 1753, anno in cui venivano espletate, nelle città di Maratea Superiore e Maratea Inferiore, le operazioni di censimento previste per la compilazione del Catasto stesso, ma in essi il nome che compare è quello della Madonna della Neve.

La nota di spesa più rilevante sotto il profilo storico è quella relativa alla somma di “tredici once e sessanta grana per scarpe e abito al Romito”, l’eremita, che la Madonna degli Ulivi pagava. Comunque, la denominazione Madonna della Neve è chiaramente legata all’episodio del 5 agosto 352 quando a Roma, sotto il pontificato di papa Liberio, sul colle dove ora sorge la Basilica di S. Maria Maggiore, si posò una coltre di neve nonostante l’inoltrata stagione estiva. Per quanto riguarda la chiesa di Maratea, comunque, l’uso di questo toponimo è assai più limitato rispetto a quello di “Madonna degli Ulivi, ma per giustificare l’uso di tale toponimo non vi è alcun supporto se non quello della tradizione. (testo e foto www.marateasacra.it)